La ricercatrice piacentina Michela Renzi, mente del progetto Vestioevo, ce lo racconta in un’appassionante mostra di abiti storici che si può visitare all’Oratorio della Beata Vergine delle Grazie di Vigoleno (Vernasca, Piacenza) fino al 4 febbraio 2024.
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“Quando allestisco le mostre, prendo riferimenti temporali molto precisi in relazione al territorio in cui mi trovo.” dice Michela. “In questo caso, ci muoviamo tra il 1346, anno in cui la Pieve di Vigoleno divenne autonoma da Castell’Arquato, e il 1427. Quest’ultima data è riportata sulla terza colonna di sinistra della Pieve associata allo stemma della famiglia Scotti. Gli Scotti infatti erano venuti in possesso del Castello di Vigoleno nel 1389 grazie alla concessione di Gian Galeazzo Visconti, proprietario del feudo. All’interno della Pieve ci sono affreschi interessanti che risalgono al primo ‘400 e raffigurano donne con camicie, gonnelle, pellande: riferimenti iconografici molto preziosi per il mio lavoro di ricerca.”
Dal francese houppelande, erano così chiamate nell’Italia settentrionale tra ‘300 e ‘400, molto influenzata dalla moda francese, le abbondanti sopravvesti dalla linea fluente e dalle maniche molto ampie; nei decenni precedenti, la sopravveste o sovraccotta era invece detta guarnacca. La guarnacca maschile del primo ‘300 aveva ampie maniche con un’apertura frontale per il passaggio delle braccia e poteva essere provvista di cappuccio. Era molto comune: veniva indossata da uomini illustri come Francesco Petrarca, ma anche da persone del ceto medio o povere per proteggersi dal freddo, ovviamente in tessuti differenti.
Chiediamo a Michela da dove nasce questa passione. “Amo gli eventi a carattere medievale. In molti capita di trovarsi di fronte a fantasiosi costumi che non hanno alcuna attinenza storica. Così è iniziata la mia ricerca su fattezze, stoffe, materiali, metodi di produzione e ovviamente sulle fonti storiche, testuali e iconografiche, che consentono di classificare e collocare i capi nei vari periodi del Medioevo e nei luoghi di riferimento. Realizzo questi abiti per indossarli durante gli eventi: li disegno dopo una scrupolosa ricerca, taglio e imbastisco, poi affido la cucitura finale a sarte professioniste.”
Come ci si vestiva nel passato è un argomento che suscita molte curiosità. “I visitatori mi fanno sempre moltissime domande, e spesso mi trovo a sfatare alcune false credenze. Ad esempio, l’idea che nel Medioevo i poveri o comunque le persone dei ceti più bassi si coprissero con vari strati di juta: questo materiale in Italia all’epoca non esisteva, arriverà da noi solo nel 1700 grazie ai commercianti inglesi che la importarono dall’Egitto e dalle Indie.”
Ogni mostra porta con sé abiti realizzati ad hoc a seconda del luogo e del contesto. A Vigoleno lo spunto è stato offerto dagli straordinari affreschi della Pieve di San Giorgio, in particolare da quello dell’abside centrale. La principessa dipinta indossa sopra alla gonnella una pellanda rossa foderata in verde, stretta sotto al seno da una cintura in pelle chiusa sulla schiena, cosa molto comune all’epoca. Il tessuto è decorato con fiori stilizzati appoggiati a un piede geometrico; le stoffe potevano essere ricamate ma anche timbrate tramite tavolette di legno sulle quali era inciso il disegno da stampare. La seta scelta per riprodurre la pellanda esposta in mostra è la replica di una seta bizantina del XII secolo trovata a Palermo nella tomba di Enrico VI; l’originale è conservato in parte nel tesoro della Cattedrale di Palermo, in parte al British Museum.
In mostra è stato ricreato anche un piccolo convivio: tra gli oggetti più curiosi, si trovano due scaldamani in ceramica a forma di libro, da riempire con acqua calda e stringere tra le mani. Ci sono poi anche piatti, boccali e ciotole ispirati alle ceramiche del XIV secolo ritrovate sullo Stradone Farnese a Piacenza ed esposti nell’Antiquarium Santa Margherita, sempre a Piacenza.
La mostra “Moda al tempo degli Scotti” prosegue fino al 4 febbraio 2024 ed è visitabile nell’Oratorio della Beata Vergine delle Grazie di Vigoleno (PC) negli orari di apertura del Mastio (sabato e domenica dalle 10.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 17.30 ad eccezione di 25/12, 30/12 e 31/12).
Per visitarla in altri momenti o prenotare per gruppi, contatta il numero 329 7503774 o invia una email a info@visitvigoleno.it. L’evento, organizzato in collaborazione con Visit Vigoleno, vanta il patrocinio del FAI, del Comune di Vernasca, del circuito Castelli del Ducato di Parma Piacenza Pontremoli e dell’Unione Alta Val d’Arda.
Se questo periodo ti affascina particolarmente, suggeriamo una tappa a Castell’Arquato, dove Alberto Scotti nel 1292 avviò la costruzione del Palazzo di Giustizia, oggi conosciuto come Palazzo del Duca, come si ricava da un’iscrizione posta nella fontana a livello delle fondamenta.
L’edificio ha subito molti rimaneggiamenti: il nucleo originario è quello in pietra, la parte superiore, con muri in mattoni e finestre con bellissime decorazioni in cotto, è invece quattrocentesca; la parte retrostante è del ‘600.
Scendendo una rampa di scale si arriva alle Fontane del Duca, elemento architettonico che risale alla fondazione del Palazzo. Qui, fino al secolo scorso, le donne lavavano panni e bambini, ma in origine questi usi non erano consentiti: gli Statuti Arquatesi prevedevano che la fontana servisse esclusivamente per l’acqua potabile e ne vietavano l’uso per lavarsi, fare bucato, abbeverare animali e lavare la trippa! Le Fontane del Duca hanno otto bocche in bronzo a forma di teste di animali, quattro rappresentano la testa di un mastino, quattro la testa di un felino. L’acqua giunge qui da due vicine sorgive attraverso antiche condutture tuttora funzionanti.
Rimanendo a Castell’Arquato, proseguiamo il nostro viaggio nel Basso Medioevo. Entra nella Collegiata: gli interni in penombra, illuminati dalle piccole aperture in alabastro, invitano al raccoglimento. Prenditi il tempo per osservare uno ad uno i capitelli delle colonne: un catalogo di motivi vegetali e animali davvero immaginifico. L’elemento più antico è l’austero fonte battesimale rotondo, ricavato da un singolo blocco di arenaria che, secondo alcune ipotesi, rimane l’unico elemento superstite della chiesa preesistente, risalente all’VIII secolo.
Colpiti da tanto Medioevo, talvolta si manca di notare la splendida cappella di Santa Caterina, che invece merita una sosta. Si trova alla destra dell’ingresso: inserisci una moneta da 0,50 centesimi per accendere l’illuminazione e osservarla in tutti i suoi dettagli. La cappella risale al 1455 ed è completamente dipinta con affreschi di scuola toscana. Tra le storie della passione di Gesù ed episodi della vita di Maria si staglia la figura di Caterina d’Alessandria, segnalata dalla palma del martirio e dalla ruota dentata. Ipnotico anche lo zoccolo dipinto con il motivo di un portico dal quale si vede un complesso architettonico Non tutti gli affreschi sono originali e alcune parti furono ridipinte all’inizio del ‘900, ma questo nulla toglie al fascino di questo ambiente.
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