Ancora oggi queste comunità costituiscono un ponte che unisce nel tempo e nello spazio generazioni molto diverse tra loro: scopriamo cosa significhi nelle parole, emozionate ed emozionanti, di una morfassina a Londra.
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Come molte altre aree rurali italiane, l’Alta Val d’Arda ha conosciuto dalla fine dell’Ottocento a tutta la prima metà del Novecento un massiccio esodo migratorio, causato dalla difficile situazione economica. Gli abitanti della valle, spesso contadini o artigiani, si trovarono costretti a cercare un futuro migliore all’estero. Le mete principali furono l’Inghilterra e la Francia: molti di loro riuscirono a costruire lì una nuova vita.
Nonostante il distacco fisico dalla terra d’origine, la comunità valdardese emigrata ha mantenuto uno stretto legame con le proprie radici, che si è rafforzato con il tempo attraverso la lingua, le tradizioni familiari e il ritorno regolare in valle delle generazioni successive, soprattutto in estate. Questo fenomeno di “ritorno” ha creato un ponte tra passato e presente, contribuendo da un lato a tramandare la cultura locale, dall’altro a rinnovarla, creando un particolarissimo melting pot.
Per capire meglio cosa si è creato, approfittiamo proprio del ritorno di Maria Amasanti a Morfasso per le vacanze estive e le facciamo qualche domanda.
“Vivo a Londra, sono medico. La mia infanzia, la maggior parte, l’ho passata qui a Morfasso. Prendevo il volo da sola per stare con mia nonna, già a 8 o 9 anni. Erano gli anni ‘80: all’epoca ti accompagnavano le hostess, non credo che oggi lo facciano ancora…
Mia nonna veniva a prendermi con la Silvana, la moglie di Renzo: passavo qui gran parte delle vacanze scolastiche, anche durante l’adolescenza e la giovinezza.
Ho fatto tante amicizie: posso dire senza dubbio che i miei amici sono qui. Anche se adesso ci sentiamo poco durante l’anno, non importa: l’amicizia vera riprende sempre da dove sei rimasto l’ultima volta.
Ora ho 3 figlie a mia volta, ma cerco di tornare tutti gli anni perchè voglio trasmettere loro cosa sia Morfasso. E così possono capire meglio anche chi è la loro mamma.”
“Il mio bisnonno andò a Londra per asfaltare le strade e consegnare il ghiaccio; vi rimase un paio di anni. Sua figlia, mia nonna, visse a Londra per 6 anni, lavorando in un ristorante vicino al famoso Bar Italia. Tornò in Italia per sposare mio nonno, ritornò a Londra per partorire mio padre e fece di nuovo rientro in Italia: in questo modo, mio padre ebbe da subito il passaporto inglese.
C’era un legame molto forte con Londra: gli italiani vivevano tutti a Clenkerwell, quartiere diventato poi noto come Little Italy.“
“Poi fu il turno di mio papà per andare in Inghilterra. Non voleva partire ma mia nonna, avendo vissuto là e sapendo com’era dura la vita qui a Morfasso, lo forzò a partire, primo tra i fratelli. Quando arrivò, non parlava né l’inglese né l’italiano: gli emigrati che lo avevano preceduto avevano però creato una comunità e si fecero carico di accoglierlo e di insegnargli un lavoro.
Quando scese dall’autobus, c’era qualcuno ad aspettarlo: era aprile e la prima cosa che gli dissero fu “Come sei abbronzato!”. Lavorando all’aperto, era normale.
Poi gli misero il grembiule, non l’aveva mai indossato. Gli venne un nodo in gola, si sentiva solo. Lo misero a pelare le patate.”
“Ogni giorno, per farsi coraggio, mentre pelava le patate alle 5 di mattina cantava le nostre canzoni di montagna. Un giorno sentì bussare, era un poliziotto. Lui capiva veramente poco di inglese ma il poliziotto si fece comunque capire.
YOU-SING-LOUD-SHHH!!!!! PEOPLE-SLEEP.
Alla fine riuscì a intendere che stava cantando troppo forte! Qui in valle era normale, dappertutto si sentiva cantare. Era molto bravo a farlo, tra l’altro, sarebbe potuto diventare tenore!”
Parlava sempre della sua terra e dei miei nonni, era talmente legato… Quando tornavamo per l’estate in macchina, passata la diga di Mignano e poi Sperongia, sentiva una vera e propria attrazione magnetica. Davvero: lo osservavo mentre guidava tranquillo, e poi tutt’a un tratto lo vedevo stringersi nelle spalle, saldarsi al volante, accelerare, come gli atleti quando arrivano alla fine e fanno lo sprint. Diceva: “Maria, guarda il campanile”! Io ero incantata, sentivo la sua gioia.
Per me è partito tutto da lì, dal provare questa emozione, oltre le parole.”
“Molte delle storie che so sulla mia famiglia me le hanno raccontate mia nonna e mio padre. La tradizione orale è importantissima, soprattutto per i bambini. Sembrano quasi fiabe, ma non lo sono: parlano della tua gente, e anche di te.
La nonna mi raccontava gli eventi accaduti durante la II seconda guerra mondiale, quando mio nonno era nascosto nei boschi e lei qui, con tre figli piccoli, terrorizzata, a dover far da mangiare a dei tedeschi che avevano deciso di occuparle casa.
Mio papà mi raccontava di aver visto la frana a Cimelli mentre era fuori a pascolare, da solo a 9 anni. I bambini lavoravano, era così. O ancora di quando suo fratello Roberto quasi gli fece perdere un dito perché invece di tagliare la legna gli colpì la mano con l’ascia! Mia nonna, incinta di 9 mesi, glielo tenne insieme in qualche modo con una benda e per fortuna andò tutto per il meglio. Il giorno dopo partorì.”
“Potrei andare in vacanza 15 giorni ovunque e mi divertirei, ma tornare qui è un’altra cosa.
È risaputo che i rapporti umani sono fondamentali per la salute. Quanti abbracci do e ricevo qui…. mai a Londra! Non passa una macchina senza salutarmi, anche se non conosco chi la guida. Se vado a fare una passeggiata, non posso evitare di parlare con qualcuno.
Un’altra cosa che mi è sempre piaciuta tantissimo è che qui si parla sempre di cibo. Che è nutrimento, certo, ma anche festa, compagnia, cura.
Venire qui non è solo una vacanza ma qualcosa di buono per la mia salute, nutrimento per il corpo e per l’anima. Certo il paesaggio è bellissimo, ma anche altrove lo è… quello che trovo qui è il cuore.
Non potrei essere più orgogliosa di queste radici.”
“Ho tre figlie molto diverse tra loro, oggi hanno 20, 18 e 16 anni. A loro piace venire qui. Lo considero un mio successo, penso di aver trasmesso a loro quello che sento.
“It takes a village to raise a child”, si dice, no? I figli non hanno bisogno di molto per crescere, ma si devono sentire sicuri e amati. Qui le ho sempre lasciate libere di andare perché le conoscono tutti, e anche chi non le conosce si prende cura di loro. La Renata una volta è sparita, aveva 6 anni. A Londra sarei morta di paura, qui no: era andata da Renzo a vedere i cavalli. È una libertà incredibile, per loro e per me.
Certo, non per tutti è andata così. Alcuni figli e nipoti di emigranti non hanno mantenuto rapporti, non parlano neanche l’italiano. Non tutti sono partiti da qui col cuore spezzato, qualcuno se n’è andato convinto di farlo. Immagino che non ne soffrano: you don’t know what you don’t know, ma non sanno cosa si perdono.”
“Mio padre ha sempre trovato conforto nel pensare alla sua casa, quella di origine. Arrivato alla fine dei suoi giorni, a volte pensava di trovarsi lì, e io glielo lasciavo credere.
Mia figlia mi ha chiesto dove vorrò essere sepolta, quando toccherà a me. Non ci avevo mai pensato. A casa mia, penso. Quando parlo con gli amici mi dicono “Quando vieni a casa?”. A casa, certo: e questa è casa mia.”
“L’alba, e la vista fuori dalla mia finestra (a Cornolo di Morfasso, verso le frazioni Olza e Variano, ndr). Gli uccelli.
Il sedersi sul gradino della porta di casa con mia nonna: abbiamo passato tante di quelle ore lì. Lei sgranava il rosario e io mi annoiavo. Mi insegnava i nomi dei paesi, delle canzoni. “Lucciola lucciola vieni da me, che io ti do il pan del re. Il pane del re e della regina, lucciola lucciola vieni vicina.”
E poi qualcosa da mangiare. I pomodori, perché sanno di pomodori! E un buon salame, ovviamente: questo lo porto sempre con me per davvero quando torno a Londra.
Il lusso di raccogliere la frutta dove cresce: qui non mi tocca andare al supermercato, e non devo neanche pulirla.
E un posto? Santa Franca.
Questo porterei con me.”
“Morfasso ha 1044 iscritti all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero): è una soddisfazione e un onore come sindaco poter rappresentare queste persone e mantenere con loro legami forti” dice il sindaco di Morfasso Paolo Calestani.
“La comunità più grande e operativa è quella di Londra, grazie all’impegno di Piacenza Insieme che ha raggruppato le associazioni preesistenti (ogni frazione del paese aveva la sua!). Londra, dicevamo, ma anche Francia, Svizzera, Canada, Australia, Argentina, Giappone: Morfasso ha radici in tutto il mondo!”
“Ogni anno, insieme ad altri comuni della provincia, siamo invitati a Londra per rinnovare questi rapporti; ogni estate i morfassini tornano nelle loro seconde case per le vacanze, rendendo questo territorio molto vivo e animato.
Investono sul loro paese: in passato, hanno promosso raccolte di fondi per aiutare le parrocchie e alcuni servizi in difficoltà.
Desiderano essere coinvolti, nonostante la lontananza: c’è un canale di comunicazione sempre aperto tra noi che viviamo qui e loro, più veloce di ogni social, un vincolo affettivo molto sincero.“
“Alcuni desiderano tornare a vivere stabilmente qui. Non solo persone che arrivate alla pensione decidono di abitare nei luoghi di origine, ma anche giovani coppie: ho ricevuto richieste in questo senso.
Abbiamo il dovere di sostenere le nuove generazioni, che non sono nate qui ma che qui sentono le proprie radici e che hanno imparato ad amare questo territorio durante le vacanze scolastiche, che partecipano alla vita delle proloco, che parlano l’italiano, che in paese sono conosciuti da tutti.”
“Ecco, questo senso di partecipazione, di vicinanza, io lo percepisco tantissimo quando vado a trovarli a Londra o in Francia. Mi fanno sentire la fatica di aver dovuto lasciare la loro terra. Esprimono un grande attaccamento alle istituzioni, ben maggiore del nostro. Sono riconoscenti per il fatto di tenere vivo questo legame.”
Per incoraggiare chi vive all’estero a tornare il Comune di Morfasso ha aderito al progetto “Il turismo delle radici” del Ministero degli Esteri. Prevede diverse iniziative, tra le quali convenzioni per agevolare il prezzo dei biglietti di treni e aerei e incentivare le persone a scoprire i propri luoghi di origine.
Il prodotto enogastronomico è un altro elemento chiave per rinnovare i legami. D’altra parte, se ci si pensa, quando le persone ritornano il primo ritrovo è a tavola o al bar, davanti a un bicchiere di vino, un piatto di anolini, una fetta di salame.
“A tal proposito, ho un piccolo aneddoto. Anche le sorelle e i fratelli di mia nonna emigrarono a Londra nel secolo scorso. Quando ero bambino assistevo al ritorno dei parenti all’estero e sentivo sempre parlare di questa chiesa italiana, St Peter… tra me e me pensavo a quanto fossero devoti. Nel 2014, al mio primo viaggio istituzionale a Londra, ho finalmente capito: da parte alla chiesa c’è un circolo, che sembra precisamente una delle nostre osterie di una volta. Ecco dove si trovavano…”
Per saperne di più: www.piacenzanelmondo.it
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